domenica 5 giugno 2011

Tunnel solare: il sole in una stanza



Il tunnel solare è la soluzione ideale per portare luce naturale anche negli angoli più bui delle abitazioni.
La luce naturale svolge un ruolo determinante nella definizione architettonica degli spazi e contribuisce in modo decisivo alla percezione dei volumi e degli arredi, ma soprattutto al benessere. La luce naturale ha infatti effetti positivi sul fisico e al contempo, grazie alla sua variabilità in termini temporali (mattina-sera, cielo coperto-cielo sereno) può avere un’influenza positiva sullo stato d’animo delle persone.
Mentre la luce naturale garantisce uno spettro luminoso completo, la luce artificiale spesso provoca un’alterazione nella percezione dei colori. Per questo motivo nella valutazione della qualità luminosa di una stanza viene preso come parametro di riferimento la luce solare.
Talvolta diventa difficile ottenere ambienti sufficientemente illuminati e ricchi di colori, chiari-scuri e ombre. Dal punto di vista architettonico l’unica porzione di edificio colpita dai raggi solari durante tutto l’arco della giornata è il tetto. Le finestre verticali invece, essendo posizionate in facciata, hanno un orientamento che è subordinato alla forma dell’edificio e alle condizioni ambientali esterne.
Negli ultimi anni sono stati progettati e realizzati tunnel solari in grado di captare la luce naturale dal tetto e di trasportarla attraverso condotti in stanze sottostanti prive di finestre o scarsamente illuminate.
Nell’edilizia residenziale nuova, le possibili applicazioni di questi prodotti riguardano principalmente ambienti a uso discontinuo che non comunicano direttamente con l’esterno (corridoi, vani scala, ripostigli).
Negli edifici vecchi o nei restauri, invece, l’utilizzo di tunnel solari permette di risolvere gravi problemi illuminotecnici non solo nei locali di servizio ma anche in quelli scarsamente illuminati come ad esempio nei bagni ciechi o negli ingressi. Inoltre, nel recupero edilizio, a causa dell’eccessiva profondità o irregolarità dei locali può essere necessario integrare l’apporto di luce anche in ambienti normalmente illuminati dalle finestre.





Morning Crush: Trap Light


Some people tend to think of eco-friendly devices as boring and unattractive, but that’s an unfortunate stereotype. Boring objects continue to be boring objects, whether they’re notebooks or paper towels. But increasingly designers are harnessing their creative genius in the service of preserving the world’s resources. Hence the Trap Light, below.


A project by Gionata Gatto (Pedalator, Urban Buds) and Mike Thompson (Latro, Blood Lamp), Trap Light does exactly what its name suggests. From the Trap Light / Save Energy website:
By utilising photoluminescent pigments to capture escaping light, Trap Light converts waste energy back into visible light. Photoluminesence is a process in which energy absorbed by a substance is gradually released as light. Using the Murano glass blowing technique, the designers were able to embed photoluminescent pigments into the glass body of the lamp. Through this process, Trap Light becomes both shade and light source, emitting, absorbing, and re-emitting light. 30 minutes ‘charge’ of recycled light from a traditional incandescent or LED light bulb provides up to 8 hours of ambient lighting.
http://www.traplightsaveenergy.com/




Gabriele Marsile @ Barbara Frigerio Contemporary Art


Gabriele Marsile è nato a Milano, attraverso la fotografia,negli anni più recenti, si è dedicato alla descrizione di analisi comportamentali. Con la serie dedicata ai fiori Marsile affronta il tema dell'isolamento, inteso sia come distrazione e chiusura momentanea e volontaria, sia come uno stato più prolungato, dovuto a fattori esterni, quali handicap o discriminazioni. Il rapporto e la differenza tra isolamento volontario e diversità viene rappresentato con l'inversione delle parti del soggetto, posto poi, contro uno sfondo nero, espressione del profondo silenzio che lo avvolge.




FRANCESCO SIMETI ESPONE DA MININI. TERRE DESOLATE IN SCENE DI DISORDINE E CONFUSIONE.


Presso lo spazio di Francesca Minini a Milano è in corso la seconda personale di Francesco Simeti, che per l’occasione propone il viaggio in una natura selvaggia ma allo stesso tempo deturpata dall’aggressione dell’uomo. La percezione di meraviglia di fronte a un apparente scenario incontaminato lascia presto il posto alla sensazione di inquietudine provocata dall’individuazione dei segni o simboli dell’incoscienza di un’umanità poco attenta alla preservazione dell’ecosistema, che contamina e deturpa durante il suo passaggio. Entrando nella prima sala lo spettatore si cimenta nel ruolo di attore su una sorta di palcoscenico allestito con pannelli di cartone sui quali sono duplicati alcuni collage di un irrealistico naturalismo. Le scenografie dirigono verso un percorso prestabilito da intraprendere alla luce di quelle tipiche lampade utilizzate per i lavori industriali, pendenti dal soffitto e regolate a differenti altezze. 



A rendere il tutto ancora più artefatto intervengono riproduzioni di piante e massi assemblati a terra, gli stessi notoriamente utilizzati per ricreare l’ambientazione natale degli animali impagliati ed esibiti nei musei botanici. Lungo il cammino ci si imbatte in foreste dalla fitta vegetazione da cui, grazie a uno sguardo più attento, affiorano detriti e rifiuti nocivi, scie di uno shuttle che marchia il cielo, o reti gettate in mare per contenere i danni di un disastro ambientale. “Wasteland” sintetizza la visione di una terra desolata, “wilderness” l’emozione provocata dalla visione stessa di tali “Scene di disordine e confusione”, titolo della video installazione a cui il sentiero conduce in ultimo. Nella seconda sala sono infatti presentate tre animazioni che documentano, secondo l’immaginazione di Simeti, l’itinerario dei pellegrini del Medioevo e del Rinascimento per giungere a Roma. I dettagli di arbusti e rocce si mettono a fuoco man mano che ingrandendosi paiono avvicinarsi allo spettatore, il quale sembra a sua volta immergersi in un mondo dalle sembianze per lo più magiche. Il riferimento iconografico è quello ai “Tacuina sanitatis”, oltre alla pittura di Beato Angelico, Paolo Uccello o Domenico Veneziano. Se nel ‘700 Edmund Burke postula la contrapposizione tra bello e sublime, concedendo al secondo l’accezione di sentimento di terrore di fronte alla potenza indisciplinata e indisciplinabile della natura a cui si sono ispirati artisti come Turner e Friedrich, quella stessa emozione di “orrendo che affascina” respira nel lavoro di Francesco Simeti. La superficialità di un primo e veloce sguardo cela ma non lascia in silenzio quei dettagli dissonanti captati nell’inconscio. La rappresentazione di una natura idealizzata nella sua forma inviolata subisce dunque violenza dall’azione distruttiva dell’uomo il quale, prendendo atto della sua profanazione, subisce a sua volta la violazione stessa provocando in sé quel turbamento che acquista le vesti di in un’estetica del sublime assolutamente attuale. 






martedì 31 maggio 2011

Come ti converto la fabbrica in una eco-scuola



Nel comune francesce di Boulogne-Billancourt situato nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine nel nord della Francia, è in corso un ambizioso progetto per far sì che la scuola diventi bio. Più precisamente, un noto architetto francese di nome Chartier Dalix ha aderito ad un interessante progetto edilizio che vede un ex fabbrica della Renault trasformarsi in una scuola totalmente ecologica.




L’idea è quella di fare in modo che lo spazio dell’ex fabbrica, in base ai principi della bioedilizia, venga trasformato al fine di consentire anche la ricrescita della flora locale. In conseguenza di ciò è previsto anche un recupero di tipo faunistico. Gli animali infatti, in seguito ad un ripristino della flora naturale, dovrebbero essere naturalmente attratti ed quindi stanziarsi in quest’area.




L’edificio sarà caratterizzato dalla presenza di un tetto verde che scende fino ad estendersi su tutta la scuola ad ogni livello. Su questi spazi verdi è prevista la reintroduzione della vegetazione indigena con un possibile ritorno della fauna avicola. Le aule saranno disposte tutt’attorno all’edificio con gli spazi di studio e di gioco in dolce transizione.




Le note positive di questo progetto sarebbero tante. Innanzitutto tale area consentirebbe di mettere a disposizione degli studenti un ampia zona verde in mezzo allo smog cittadino e in secondo luogo ciò permetterebbe agli alunni di entrare direttamente in contatto con un reale ecosistema.




Infatti, negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un progressivo allontanamento dei ragazzi dagli ambienti naturali con una conoscenza esclusiva degli ambienti antropizzati. Lo studio di piante e animali conseguentemente è diventato puramente teorico e il più delle volte i giovani non hanno un idea concreta degli argomenti di studio trattati.






Quindi tale progetto consentirebbe agli studenti di rapportarsi realmente con un piccolo ecosistema e si spera anche ad un approccio di tipo ludico con un rinnovato amore per tutto ciò che è bio.

Dal giardino di casa al cliente. È vendita libera per gli ortaggi!!

http://www.repubblica.it/ambiente/2011/05/27/news/coltivazioni_casalinghe_california-16081818/?ref=HREC2-6

lunedì 18 aprile 2011

Crack Garden... giardini nel cemento!



La geniale idea è venuta a CMG Landscape Architecture di San Francisco che ha progettato il Crack Garden per un cliente della città californiana, e sottolineo californiana in quanto la California è uno dei climi mediterranei nel mondo, molto simile al nostro. Il lavoro si ispira alla tenacia e all’invasività di molte piante infestanti, di quelle cioè che possiamo incontrare tutti i giorni. A chi infatti non è mai capitato di vedere una piantina sbucare da una micro fessura in un marciapiede o crescere senza problemi in una crepa nell’asfalto? Questa incredibile capacità adattiva di alcuni vegetali, la loro attitudine cioè di sfruttare una porzione minima di terra per crescere, fiorire e riprodursi, è alla base dell’idea di CMG Landscape Architecture.
Alla CMG Landscape Architecture devono aver pensato: “perché non sfruttare questa caratteristica di molte piante per creare qualcosa di diverso dal solito giardino?” Lo studio di progettazione ha quindi individuato, attiguo a un edificio, un piazzale completamente ricoperto di cemento e ha messo in atto il proprio originale progetto. Gli operai hanno così iniziato a realizzare una serie di  solchi paralleli ed equidistanti ma, visto il materiale da lavorare, invece dei normali attrezzi di solito utilizzati nei campi (come per esempio zappe e vanghe), hanno utilizzato dei martelli pneumatici, molto più rumorosi e molto meno maneggievoli degli strumenti di cui sopra.
Una volta realizzati, i solchi sono stati riepiti con una piccola quantità di terra dopodiché sono state messe a dimora le piante. Quest’ultime sono di tutti i tipi: piccoli cespugli, piante da fiore, erbe infestanti e pure verdure ma tutte caratterizzate, oltre che alla resistenza in condizioni di crescita difficili, da un ridotto sviluppo radicale.
Come si vede dalle foto qui pubblicate il risultato è davvero molto interessante, non solo da un punto di vista estetico ma soprattutto per la sua valenza teorica che è quasi rivoluzionaria e che è valsa premi e riconoscimenti allo studio. Il progetto infatti simboleggia quella che potrebbe essere un’inversione di tendenza: in un mondo che continua a registrare l’inarrestabile avanzata di asfalto e cemento l’idea di CMG Landscape Architecture è un piccolo ma incoraggiante capovolgimento delle cose. Specialmente in un Paese come il nostro, dove ogni anno il cemento si divora 100.000 ettari di campagna (pari al doppio del Parco Nazionale d’Abruzzo), si dovrebbe adottare subito questo simbolico modo di vedere la situazione, favorendo cioè la diffusione del verde a danno della sempre più invadente giungla di cemento.


Maggiori informazioni su CMG Landscape Architecture